La Chimera di Arezzo

La Chimera di Arezzo è un essere mostruoso che fu sconfitto dall’eroe Bellerofonte e rappresenta una attrazione del Museo Archeologico Nazionale di Firenze.

Chimera di Arezzo, V-IV secolo a.C., bronzo, altezza 80 cm. Firenze, Museo Archeologico Nazionale

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Indice

Descrizione della Chimera di Arezzo

L’essere fantastico rappresentato nella statua di bronzo è formato da parti di vari animali. La testa è quella di un leone con le fauci aperte e sul collo la criniera irta. La coda invece è sostituita da un serpente con la bocca spalancata. Sulla schiena poi cresce una testa di capra. L’animale assume inoltre una posizione minacciosa e pare che stia per aggredire un avversario.

Interpretazioni e simbologia della Chimera di Arezzo

La Chimera è un mostro a tre teste che fu generato da Echidna, un essere per metà donna e per metà serpente e da Tifone un altro terribile mostro. Echidna e Tifone generarono anche la celebre Sfinge, Cerbero e l’Idra di Lerna.

Giorgio Vasari si espresse sulla Chimera di Arezzo in un suo scritto, Ragionamenti sopra le invenzioni da lui dipinte in Firenze nel palazzo di loro Altezze Serenissime. Secondo l’artista e storico la statua ritrae la Chimera di Bellerofonte perché su alcune medaglie in possesso del Duca Cosimo I de’ Medici provenienti da Roma compariva una immagine simile a quella della Chimera. Inoltre dichiarò di aver ritrovato la coda in bronzo dell’animale, tra altre sculture del sito archeologico.

La Chimera è anche il simbolo del Quartiere di Porta del Foro, uno dei quattro quartieri della Giostra del Saracino di Arezzo.

Bellerofonte e la Chimera

La Chimera nella mitologia greca era un essere mostruoso che terrorizzava gli abitanti della Licia. Il mostro distruggeva ogni cosa con le fiamme che uscivano dalla sua bocca. Il mito della Chimera fu ripreso anche in Etruria e fu di ispirazione per altre rappresentazioni del mostro. Secondo la tradizione Bellerofonte, l’eroe greco, in sella al cavallo alato Pegaso, uccise il mostro. Bellerofonte per uccidere la Chimera utilizzò il veleno dell’animale. L’eroe infatti immerse la punta del suo giavellotto nella bocca infuocata del mostro. A causa del forte calore la punta di piombo fuse uccidendo la Chimera.

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I committenti, le collezioni, la storia espositiva e la collocazione

In seguito alla costruzione delle fortificazioni medicee gli scavatori trovarono il gruppo di sculture il 15 novembre 1553. La scultura era sepolta ad Arezzo, in Toscana, fuori da Porta San Lorentino, con altri bronzi nascosti per essere preservati. La statua fu rinvenuta infatti all’interno di uno stipe insieme agli altri oggetti. Si trattava di offerte al dio etrusco Tinia. Questa divinità corrispondeva al greco Zeus e al romano Giove. Il granduca di Toscana Cosimo I de’ Medici si appropriò della scultura e la espose inizialmente a Palazzo Vecchio, nella sala di Leone X. Il nobile la spostò poi nel suo studiolo di Palazzo Pitti per avere il piacere di ripulirla personalmente.

Cosimo III la fece poi spostare nel 1718 presso la Galleria degli Uffizi. Nel 1870 poi Luigi Adriano Milani, direttore del Regio Museo Archeologico di Firenze la fece trasferire al primo piano del Palazzo della Crocetta, nella galleria dei bronzi.

L’artista e la società. La storia dell’opera Chimera di Arezzo

La scultura risale al V-IV secolo a.C. ed è un manufatto etrusco. La Chimera di Arezzo secondo più precise valutazioni degli storici risale al 380-360 a.C.. Gli autori dell’opera furono probabilmente alcuni artigiani che operavano nella zona di Arezzo.

Nell’archivio custodito presso il Comune di Arezzo sono disponibili alcune informazioni circa il ritrovamento della Chimera. Da queste informazioni risulta che gli archeologi identificarono l’animale come un leone perché non provvisto di coda. Giorgio Vasari la ritrovò infatti tra altri oggetti conservati nel luogo di ritrovamento.

Il restauro del Settecento della Chimera di Arezzo

Nel Settecento la Chimera fu ricomposta grazie ad un restauro osservabile ancora oggi. Francesco Carradori o il suo maestro Innocenzo Spinazzi realizzarono l’integrazione. Il restauro condotto da questi artisti portò a saldare la coda in modo da orientare la testa di serpente verso un corno della capra. Secondo gli storici contemporanei invece il serpente doveva avventarsi contro Bellerofonte che è il presunto aggressore della Chimera.

La Chimera poteva far parte di un gruppo scultoreo insieme alle statue di Bellerofonte e di Pegaso. Diversamente la statua dell’animale era forse una singola scultura che aveva la funzione di offerta votiva. La seconda ipotesi sembra confermata da una iscrizione che compare sulla zampa anteriore destra. La scritta è TINSCVIL o TINS’VIL, traducibile in italiano come “donata al dio Tin“, un dio etrusco.

Il Duca Cosimo I de’ Medici, diventato poi Granduca di Toscana, approfittò della scoperta. Infatti Cosimo primo si fregiava del titolo di Granduca d’Etruria. Cosimo I quindi utilizzò la Chimera come allegoria della vittoria dei Medici sulle fazioni nemiche. Per questo fece portare la statua a Palazzo Vecchio che rappresentava il centro del potere mediceo.

Consulta anche l’articolo intitolato: I libri utili alla lettura dell’opera d’arte.

Consulta anche l’articolo intitolato: La scheda per l’analisi dell’opera d’arte.

Lo stile della Chimera di Arezzo

L’animale coniuga un modello greco con la grande abilità esecutiva delle maestranze etrusche. Il modellato del corpo per la maggior parte è naturalistico mentre la criniera è costituita da scaglie molto rigide. La modellazione non è coerente su tutto il corpo. Il modellato infatti è concepito in modo sintetico ma mostra le costole del torace. Le zampe e il ventre poi sono solcati da vene in rilievo.

Stilisticamente la Chimera di Arezzo è caratterizzata da elementi arcaici. Soprattutto la criniera è modellata schematicamente e i ciuffi di pelo paiono scaglie metalliche. Anche il muso da leone è vicino ai modelli greci del V secolo a.C.. Il corpo infine presenta una forma molto essenziale. Altri aspetti della statua sono invece più naturalistici come alcuni dettagli fisici. Anche la postura assunta dall’animale ritrae una posa efficacemente aggressiva.

La commistione stilistica di elementi greci arcaici e caratteristiche naturalistiche fu tipica dello stile etrusco della prima metà del IV secolo a.C.. Gli storici per questo proposero la datazione della scultura sulla base del confronto con altri leoni funerari etruschi.

La tecnica

La Chimera è una fusione in bronzo alta circa 78,5 cm.

La luce sulla scultura

La superficie della statua in bronzo della Chimera è scura e riflettente. Si creano quindi riflessi molto forti in corrispondenza delle evidenze muscolari. Inoltre in prossimità della criniera le scaglie modulari determinano un chiaroscuro grafico.

Rapporto con lo spazio

L’animale è raffigurato nell’atto di aggredire quindi la sua figura è aperta verso lo spazio. Infatti la posizione suggerisce uno scatto in avanti. La bocca aperta e rivolta in alto presuppone l’interazione con un essere presente nell’ambiente.

La struttura

La Chimera vista di profilo determina una elegante linea compositiva a forma di “S”. Tale andamento è ripreso anche dal corpo del serpente. La criniera infine è composta da scaglie modulari che producono una decorazione dagli effetti grafici e lineari.

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Bibliografia

  • Ranuccio Bianchi Bandinelli, L’ arte etrusca, Ghibli, 2013, EAN: 9788868010157

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La data dell’ultimo aggiornamento della scheda è: 18 gennaio 2021.

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